Epicuro scrive a Meneceo,come noi oggi scriveremmo a nostri di amici. La lettera che gli scrive è la sua opera più famosa,conosciuta anche come "lettera sulla felicità".
Esorta Meneceo nella pratica costante della filosofia e delle virtù che conducono al bene e una condizione di beatitudine tale da poter essere felici. Fa una vera e propria guida su come essere felici che potrebbe ricordare anche Seneca nel de vita beata. Ma a differenza di quest'ultimo ne traccia contorni diversi. Epicuro non ha paura, ne della vita ne della morte,ne degli dei.
Da importanza alla religione ma non ne fa il fulcro centrale del raggiungimento della felicità,quindi per essere felici non bisogna raggiungere la grazia di un dio,ma la pace di se stessi.
Parla di vita e di morte,in una nuova visione. L'una come assenza dell'altra. La morte non esiste per i vivi come per i morti non esiste più vita. Discerne il saggio dallo stolto a seconda dell'uso che essi fanno del loro tempo. Chiede a Meneceo di prendersi le sue responsabilità riguardo la vita,perchè se è pur vero che non possiamo avere tutto sotto il nostro controllo e anche vero che non possiamo lasciare che tutto passi senza che noi ne siamo parte.
Nella lettera si mette a fuoco i suoi principi,quali i beni necessari. E descrive il piacere come apice del raggiungimento della felicità. Bisogna saper vivere di poco,apprezzare il necessario per essere veramente felici. In conclusione "è meglio essere senza fortuna e saggi che fortunati e stolti".
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